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Bolscevismo e Sinagoga

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Mesaj Scris de Admin Dum Mar 28, 2021 8:02 am

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Bolscevismo e Sinagoga
Da: La Civiltà Cattolica, Roma, 12 ottobre 1922, LXXIII, vol. IV, quad. 1736, pp. 111-121.
Il mondo è malato. Non siamo noi a dirlo: oggi lo ripetono anche i moralisti da strapazzo; oggi anche la gente più spensierata, spaurita dal turbinoso caos in cui vede precipitare ogni ordine sociale, si è scossa, si è guardata intorno chiedendo a se stessa donde e come le sia venuto un tale accesso di follia. Dappertutto i popoli agitati da inesplicabili convulsioni, gli Stati consumati dal debito pubblico, le nazioni affamate dalla carenza dei viveri, i cambi ogni giorno più rovinosi e l’aggio dell’oro più stemperato, lo squilibrio economico sull’orlo del fallimento. E la turba, tanto più disamorata del lavoro quanto più avida di guadagni e di inafferrabili godimenti, pare divertirsi in una ridda tragica di tumulti e di scioperi, aspettando di proclamar domani la repubblica comunista, mentre i politici, i savi delle nazioni si aggirano sperduti, in cerca di una pace che si risolve in una perpetua delusione. Dove andiamo? Ecco la paurosa interrogazione che si ode ripetere da tutte le parti; e di riscontro a questa, un’altra interrogazione mormoreggia nella subcoscienza: chi conduce? Poiché le moltitudini sono mandrie e non sanno dove vanno, ma ubbidiscono a qualcuno che le guida o che le spinge. Chi spinge questa barabuffa di partiti, di leghe, di logge, chi guida questo movimento di rivoluzione universale che capovolge la società umana da un confine all’altro del mondo?
Voci sinistre si levano da più parti ad accusare la sinagoga. Il lupo è sempre lupo: le colpe antiche accreditano i sospetti nuovi e rinciprigniscono una piaga rammarginata ma non mai guarita. Una mano profana ha tratto pure alla luce dei segreti che portano la marca del ghetto. Documenti o falsificazioni? Sarà difficile, come sempre, poter diradare le tenebre in cui si avvolge gelosamente Israele. Il velo del tempio, che Jahvè aveva squarciato, i figli di Giuda l’hanno ricucito a fil doppio; ma quello che esso vuol ricoprire non è più l’arca santa del Signore: è la cassaforte delle sue usure e del suo egoismo. In ogni modo alla sua tenacità nel nascondere noi opponiamo il diritto di frugare e trarre alla luce del sole quello che ci riguarda, quello che tocca il bene pubblico del popolo cristiano, a cui far danno per i talmudisti è precetto di legge e merito di religione. A dir vero, già è parecchio tempo che di questi misteri ebraici si discorre e si scrive, in Italia e fuori, e più ancora fuori che in Italia, perché là più che da noi spadroneggia quella razza. Noi abbiamo sinora taciuto di proposito, perché nessuno ci accusasse – come altre volte – quali istigatori partigiani di antisemitismo. Oggi, al punto in cui sono le cose, crediamo essere parte del nostro compito mettere i lettori a notizia dei fatti che dettero occasione all’inchiesta. Principiamo da quelli che per la vastità del movimento e l’importanza delle conseguenze dominano sopra tutti gli altri.
I
La Russia è oggi il campo di battaglia sul quale si disputa l’impero del mondo di domani. Per quanto fitte siano le tenebre con cui artatamente è circondato quell’infelice paese dalla prepotenza dei tiranni che se ne vogliono impadronire, essi non hanno potuto interamente nascondere il tetro bagliore degli incendi, né strozzare il grido delle vittime straziate, fucilate, trucidate a capriccio, né soffocare la disperata lotta di un popolo, a cui col ferro, col fuoco, col sangue si volle imporre la delizia del governo comunista. Sono quattro anni che l’Europa stolta o infrollita sta spettatrice di quella distruzione regolata a mente fredda da masnadieri trasformati in capi di Stato, circondati da sicari ben degni del titolo significativo di “guardie rosse”, ministri di strage e di terrore. Essa ha dovuto vedere le stesse residenze degli ambasciatori suoi rappresentanti, asilo protetto dal più elementare diritto delle genti, assalite e depredate; maltrattati, feriti, tenuti prigionieri i suoi inviati, disonorate le sue bandiere: la vigliaccheria politica, la connivenza settaria ha dissimulato o sepolto nel silenzio i foschi misteri del terrore bolscevico. Intanto sono distrutte in massima parte le industrie del paese, morto il commercio: il saccheggio, la dilapidazione hanno mandato in malora ogni ricchezza. In quattro anni la Russia, regione così vasta, così fertile, così abbondevole di ogni cosa, è ridotta all’estremo della miseria e alle torture della fame. Si è parlato di milioni di bambini, vite innocenti mietute in fiore dall’implacabile flagello: si parla di altri milioni di vite di sventurati che l’inedia finirà di consumare se la mano soccorritrice delle nazioni cristiane non sarà pronta a porgere loro un pezzo di pane che li strappi alla morte. È giusto ed è umano che ciò si faccia e il Vicario di Cristo ne diede egli stesso l’esempio. Ma mentre un profondo sentimento di compassione ci inclina a soccorso di una turba incolpevole per sottrarla a così terribile destino, un movimento altrettanto profondo di indignazione ci strappa un urlo di maledizione contro i ribaldi che hanno travolto quel popolo in tale abisso senza fondo. Si salvino gli infelici, ma si mettano in ferri, si traggano al tribunale inesorabile della giustizia i mestatori, i capibanda che per attuare le loro pazze utopie disertano il paese e assassinano la nazione. Chi sono costoro?
II
Il lettore non aspetta la risposta da noi. Da troppo tempo sono divenuti tristemente famosi anche di qua dell’Alpi i nomi cabalistici degli arruffapopoli che si danno per fondatori della “Internazionale” comunista moscovita da loro vantata come il paradiso della futura società umana. Ma se, passando oltre i nomi, noi li guardiamo bene in faccia per riconoscere chi sono, si viene a scoprire questo fatto per lo meno assai strano: che il maggior numero, a quello che si dice, dei componenti il corpo dirigente la repubblica comunista in Russia non è di indigeni russi, ma di intrusi “ebrei”, i quali però si danno premura di occultare quasi sempre il nome di origine sotto la maschera di uno pseudonimo di colore slavo. In un opuscolo pubblicato nel 1920 dalla Società “Unità della Russia” troviamo, estratto dagli stessi giornali ufficiali “bolscevichi”, un lungo elenco nominativo di tutti i membri dei Consigli, delle Commissioni e delegazioni, dei Comitati, Commissariati. Uffici centrali da cui fu costituito l’organismo dello Stato allo stabilirsi del governo comunista. Quell’elenco venne divulgato in tutte le lingue, in tutti i paesi senza contraddizione: le sue informazioni presentano quel valore che dà loro, oltre la prima Origine, la pacifica notorietà che ne accredita almeno la veracità sostanziale. Ora in quell’elenco, sopra cinquecentoquarantacinque nomi di membri degli uffici direttivi dello Stato, i cittadini di stirpe russa sono nulla più che trenta; quelli di razza giudaica sono la bellezza di quattrocentoquarantasette; il resto va disperso tra lettoni, finlandesi, tedeschi, armeni, polacchi e le altre genti che già componevano l’impero. D’altra parte la popolazione totale della repubblica russa non conta certamente meno di novanta milioni di nazionali di fronte a forse quattro milioni di ebrei che fino a ieri brulicavano nel pattume del ghetto, fatti segno al disprezzo comune. Eppure questa infima minoranza oggi ha invaso tutte le vie del potere e impone la sua dittatura alla nazione. E quale dittatura!
Secondo la Costituzione della Repubblica “sovietista-socialista-federativa russa” del 19 luglio 1918 (art. 24-25), il potere supremo risiede nel Congresso dei soviet, ovvero comitati delle province e delle città di tutte le Russie; in proporzione di un delegato per 25.000 votanti nelle città e 125.000 nelle province, assicurando così la prevalenza del proletariato operaio più imbevuto delle idee rivoluzionarie e comuniste, sopra quello delle campagne. Per essere elettori o elettrici bisogna avere diciotto anni (od anche meno, con l’approvazione del potere centrale) e lavorare nella produzione delle cose necessarie alla vita o nel servizio domestico per il sostentamento di quelli che lavorano, essere soldati o marinai dell’esercito o della marineria sovietista. Non possono essere elettori coloro che tengono a proprio servizio dei lavoratori salariati, quelli che vivono di rendita e non di lavoro personale, i commercianti e gli agenti commerciali, i monaci e gli impiegati religiosi della Chiesa, gli agenti dell’antica polizia, i membri della famiglia imperiale. L’art. 23 dichiara che “la Repubblica, guidata dal solo interesse delle classi operaie, può privare dei loro diritti gli individui o i gruppi di persone che ne usassero a danno della stessa repubblica socialista”. È la legge del sospetto comune a tutti i governi violenti per far man bassa dei loro avversari. Al congresso dei “soviet” per l’art. 28 spetta l’obbligo di eleggere il comitato esecutivo centrale il quale, secondo l’art. 31, è l’organo legislativo, amministrativo, direttivo della repubblica sovietista. Dal comitato centrale è poi costituito il Consiglio dei commissari del popolo per l’amministrazione degli affari della repubblica, sotto la sua vigilanza e malleveria. [Di molti cambiamenti nella legislazione bolscevica si è parlato più volte nella stampa di tutti i paesi ma è molto difficile di saperne il netto e non crediamo che le cose siano migliorate].
III
Ora fermiamoci ad osservare [si ricordi il lettore che i nomi qui accennati sono quelli del primo governo, dato dalla nuova costituzione]. Noi abbiamo la lista dei membri di questo consiglio dei commissari, che si può comparare al Consiglio dei ministri negli altri governi europei; essa contiene ventidue nomi che ci fanno conoscere gli uomini nelle cui mani sta il destino della nazione. Il primo fra essi è quello del presidente del Consiglio, Vladimiro Illitch Oulianov, conosciuto sotto il nome di Lenin; egli è vero russo ed appartiene alla nobiltà ereditaria. Nato nel 1870 a Limbrisk, studiò diritto ed economia politica, all’Università di Kazan e di Pietroburgo. Da alcuni si dice che la madre sua fosse ebrea: certo egli fu educato nella religione ortodossa. Impigliatosi nella rivoluzione fu imprigionato come socialista, esiliato in Siberia: liberato nel 1900, spatriò, e tornò alla propaganda socialista più ardente. Un fratello di lui venne giustiziato nel 1887 per aver preso parte a una congiura terrorista. Egli stesso è di animo freddamente crudele, di ferrea volontà, audace, risoluto, domina per intelligenza e per disinteresse quelli che lo circondano. Un altro russo è il commissario per gli affari esteri, Cicerin, anch’egli di famiglia nobile, dalla quale aveva ereditato una considerevole fortuna che egli abbandonò per mantener fede alla professione socialista. Sono esempi che si vedono sola in quei paesi. Il terzo è commissario per l’educazione. (come ivi si designa il Ministero della Istruzione pubblica), Lunatciarski, figlio di un consigliere di Stato, ortodosso e propagatore di comunismo fra il clero inferiore. A questi russi si aggiunga il commissario per l’agricoltura, Protian, e quello per gli affari dalle nazionalità, Djongachvili, che sono di origine armena. Gli altri diciassette sono tutti figli d’Israele. Traviamo fra loro colui che dopo Lenin tiene il primo sposto nella repubblica e fu il vero ordinatore dell’esercito «rosso », il Bronstein, detto Trotski, commissario per la Guerra e la Marina. Nata nel 1877 da un giudeo che teneva bottega di speziale nella provincia di Kherson, fin da ragazzo fu un rivoltoso e si fece cacciar dalla scuola per aver profanato orrendamente un’icone. Arrestato più volte, mandato in Siberia, fuggito, ramingo per l’Europa, scrivendo libri e giornali per la rivoluzione. Quando essa scoppiò, stette incerto a qual partito appigliarsi, non sapendo quale fosse per prevalere, e parve pendere verso i « menscevichi » o moderati: oggi egli è bolscevico pazzo e sanguinario. Suo degno compagno di crudeltà feroce è il commissario, per l’Interno, Ovsei Gershon Apfelibaum, detto Zinoviev, ebreo dell’Ucrania, nato nel 1883. Legato d’amicizia giovanile con Lenin, fu con lui in Isvizzera, dove fino al 1917 pubblicavano il giornale Sociat-Democrat; con lui rappresentò i socialisti russi alle famose conferenze di Zimmerwald, di Berna, di Kienthail. Rientrato in Russia con la rivoluzione, quando nel 1918 il governo bolscevico si trasferì da Pietrogrado a Mosca, il Zinoviev rimase a Pietrogrado come presidente di quel comune: a lui si devono imputare gli atti di selvaggia barbarie di cui fu teatro l’infelice città. Dal vedere tale mostro preposto al Ministero dell’Interno si può argomentare quali metodi persuasivi la repubblica voleva adoperare per istabilire il comunismo nel vecchio impero.
Il Consiglio dei commissari ha un ministro delle Finanze ebreo, Gornkovsky, e va da sé; ne ha un altro per i Culti o, come là si dice, per le religioni, Spitzberg, parimente ebreo, e la cosa si capisce meno; ne ha un altro, ancora ebreo, Anvelt, per l’Igiene sociale, e questa non s’intende punto, date le abitudini di ereditario sudiciume in cui la tribù vive da secoli in quelle contrade. Meglio invece si comprende nel Consiglio la istituzione di un commissariato per il « Soccorso sociale » affidato a una donna, ma essa pure ebrea, Lilina, perché quei soccorsi cadessero in buone mani. Ebrei sono pure i ministri della Giustizia e dei Lavori pubblici. Altre istituzioni repubblicane in mani ebree sono il commissariato per « le terre dello Stato», quello per « il controllo dello Stato», quello per « la ricostruzione », quello per « l’economia », quello per « il rinvio dei rifugiati », quello sopra tutto per « le elezioni» tenuto già , da Moisè Ialomonovitch, detto Ouritski, reso famoso dai brogli e dalle frodi tutte ebraiche con cui aveva preparato le grandi elezioni costitutive della repubblica. Un ultimo commissariato, indice dei tempi e dei metodi, è quello « della Stampa » che naturalmente è di pieno dominio giudaico. Da esso dipende un ufficio giornalistico a cui sano addetti quarantadue scrittori, de’ quali uno, solo è russo, Massimo, Gorki, gli altri sono tutti ebrei, come Moch, Kuhn, Eliasson, Kats, Efron, Davidson, e trenta altri. Questi sono i profeti che, dettano il verbo alle turbe proletarie e dirigono la pubblica opinione dalle colonne della Pravda, della Izvestia, della Znamia Trouda, ecc. I giornali antibolscevichi sono stati soppressi. Presso il Ministero degli Esteri una sezione speciale occupa molti stranieri a tradurre in tutte le lingue gli opuscoli di propaganda rivoluzionaria che si spargono nel mondo universo.
IV
Tale è la composizione del primo Consiglio dei commissari del popolo imposto dalla Costituzione della « Repubblica sovietista-socialista-federativa russa ». È la mostra da cui giudicare la balla. Ad imitazione di questo, gli altri consigli direttivi della Stato sono tutti sotto il predominio della sinagoga. Di fatto al Ministero degli Esteri, sopra 17 membri, tredici sono ebrei; in quello degli Interni, sopra 64, quarantacinque; il Ministero della Guerra conta trentaquattro ebrei sopra 43 ufficiali e tra essi nessuno è russo; quello dello Finanze ne conta ventisei sopra 30; quello della Pubblica Istruzione quarantaquattro sopra 53. A questo Ministero è annesso, un corpo dottorale di professori della « Accademia socialista » di Stato, tra i cui membri troviamo il noto giudeo disertore austriaco Radek, di vero nome Sobelsohn, uno dei più istruiti e dei più accorti uomini del partito bolscevico. Egli prese parte al rivolgimento « spartachista » e venne espulso dalla Germania insieme con altri diciannove ebrei. Fu nominato fra gli «alti commissari » di Mosca ed è uno dei migliori scrittori dell’Izvestia. Membro onorario dell’Accademia era pure la famigerata Rosa Luxembourg. Si vede a che cosa è ridotto « l’onore » tra quella gente! Più curioso è il vedere tra i dipartimenti in cui è diviso il Ministero dell’Istruzione una sezione speciale per sovraintendere alle « Arti plastiche » e un’altra intitolata la « Sezione teatrale » tutte, ben inteso, affidate al genio ebraico, e in particolare quella del teatro alla signora O. Z. Rosenfeldt, moglie di quel Rosenfeldt, detto Kamenev, uno dei negoziatori della pace di Brest-Litowsk, divenuto poi presidente del « Soviet » di Mosca, centro della repubblica. A dire il vero, non possiamo difenderci da un senso di amara ironia nel vedere questi allegri legislatori occupati a organizzare le sezioni per il teatro o per le arti plastiche, mentre disertavano il paese con la guerra civile e preparavano un prossimo avvenire di miseria e di fame!
Senza indugiarci dietro a troppi altri uffici e comitati che pullulavano sotto cento nomi in quella fiera di, vanità democratiche, citeremo ancora il fatto che dei due Comitati centrali esecutivi, sorti dal IV e V congresso dei « soviet » degli operai-soldati-contadini-cosacchi di tutte le Russie, secondo gli elenchi venuti alla luce, il primo era composto, di 34 membri e di essi trentatré erano ebrei, uno solo russo: di esso fu presidente Iacob Mosseivitch Sverdlov, figlio di un farmacista ebreo di Nijni Novgorod. L’altro invece contava 62 membri, dei quali quarantatré circoncisi, gli altri russi, lettoni, armeni, georgiani, czechi, tedeschi, imeretiani. Insomma dal complesso di questi ragguagli risulta chiaro e manifesto un fatto: questa genia che fino a ieri giaceva nei vicoli ciechi; nei più bassi fondi della vita russa; di botto si è scossa e si è impossessata del trono: ieri non era nulla; oggi è tutto ed è dappertutto, e secondo l’istinto delle razze decadute si affretta a sfogare la rabbia del suo trionfo nella paura che duri poco. Come spiegare questo strano rovesciamento di cose, questa irruzione calcolata, sapiente che s’impadronisce a colpo sicuro di tutti gli organi della macchina sociale, così da potersi dire che in Russia – esempio unico – alla nazione slava è imposto il giogo di un’altra nazione, l’ebrea ?
V
Né alcuno creda, fidandosi di un’osservazione distratta e superficiale, che il rivolgimento russo sia un episodio sconnesso; una tempesta sollevata dall’incostanza delle passioni plebee come strascico passeggero dei disordini della guerra. No: la repubblica ebrea comunista è l’attuazione di una dottrina: sono i dogmi del vangelo di Marx e di Engels posti a fondamento di un programma sociale: è la teoria comunista messa in esperimento, e noi intendiamo facilmente come nessuno poteva essere più adatto interprete del pensiero di quel pretesi legislatori d’Israele o più esperti esecutori dei loro insegnamenti che gli uomini della stessa razza e delle stesse tendenze. Solo il pervertimento di una fantasia semita era capace di capovolgere tutte le tradizioni dell’umanità e creare una società il cui statuto fondamentale è « l’abolizione di ogni proprietà: la ricchezza non deve appartenere agli individui o a una classe di cittadini, ma alla comunità ». Il buon senso della stirpe ariana non avrebbe mai inventato un codice in cui al Principio di un’autorità sociale sottentrasse un ufficio centrale di statistica «dal quale verrà stabilito quante paia di stivali e di calzoni, quante salsiccie, quanta cera da scarpe, quanto grano, quanto panno dovrà essere prodotto o lavorato ogni anno; lo stesso ufficio fisserà quanti uomini lavoreranno nei campi, nelle fabbriche di salsiccia, nelle officine dei sarti. Tutto il lavoro sarà distribuito in misura corrispondente al bisogno, e la produzione sarà regolata secondo un calcolo preciso fondato sul numero degli strumenti agricoli, delle macchine, dei telai, e sopra la quantità disponibile delle materie prime e dei lavoratori » .
Queste ed altre fino a ieri si stimavano utopie e facevano sorridere gli uomini seri: oggi quella gente ne ha fatto il modello della sua legislazione. Ha imposto il lavoro obbligatorio sotto la direzione e la vigilanza dello Stato: ha diviso la popolazione in quattro categorie per le distribuzioni alimentari: ha soppresso tutte le scuole, i collegi, le università come centri di infezione borghese. Un decreto, di Lenin ha prescritto « la educazione libera e gratuita delle classi operale » e per diffondere rapidamente i principii comunisti è stata istituita l’Accademia di Mosca, già mentovata di sopra, alla quale, sono inviati da tutte le provincie i giovani operai o contadini che si credono capaci di riuscire agitatori del partito, istruiti e mantenuti per questo fine a spese dello Stato. La repubblica ha soppresso tutti i tribunali ordinari dello Stato, e la giustizia è nelle mani di Commissioni straordinarie con potere di vita e di morte. È superfluo notare che anche i membri del commissariato della Giustizia sono tutti israeliti, ed a capo della Commissione suprema è il sanguinario Trotski.
Dei grandi principii di libertà di stampa, di associazione o di parola, neppur parlarne: sono diritti che si rivendicano sotto il regime borghese per poter preparare la rivoluzione; ma a rivoluzione fatta, in governo comunista, che si può pretender di meglio? I malcontenti sono nemici dello Stato e vanno repressi severamente. Perciò la repubblica si è circondata di armi o di armati, ha imposto la coscrizione, e non parendole troppo salda e sicura la fede delle schiere paesane, non esitò un momento a rinnegare tutto il vecchio, antimilitarismo venduto ai gonzi e assoldare un esercito di cinesi, lettoni, ungheresi, vecchi prigionieri, profughi, vagabondi d’ogni colore, ai quali prendere servizio era il più sicuro mezzo di trovar dà, mangiare dove si moriva di fame. Tale non era, davvero il caso dei seguaci della sinagoga, e non li vediamo infatti far mostra di sé nel campo militare. L’ebreo non ama la milizia poiché non ha una patria: e quando dovette essere soldato, la rivoluzione lo fece traditore e assassino. Il branco di sicari che commise il feroce eccidio della famiglia imperiale moscovita nella notte del 16 luglio 1918 era comandato da due ebrei, Vaissen e Savarov, ed essi colpirono le vittime: ed ebrei pure erano le due guardie, Youroviski e Laipont, che avendo la custodia dei prigionieri lasciarono penetrare gli assassini. La carneficina inumana suscitò tanto orrore che, almeno per gettare un velo d’ipocrisia sopra i cadaveri, fu nominata una commissione d’inchiesta intorno al misfatto. La commissione, s’intende, ebbe sette ebrei sopra dieci membri. Non sappiamo quale esito l’inchiesta abbia avuto… né se sia mai stata fatta.
Il governo di Mosca organizzò l’esercito rosso con una disciplina di ferro – né meno ci voleva per dare una coesione a quella razzamaglia di origine disparata – e lo preparò alla guerra di classe che la dottrina marxista predicava come necessaria allo stabilimento della dittatura del proletariato per giungere al comunismo. Il Lenin nella relazione al Comitato esecutivo dei « soviet”» dell’aprile 1918 denunciava ripetutamente: « Sarebbe la più grande stoltezza e la più stupida utopia credere che la transizione dal capitalismo al socialismo sia possibile senza costringimento e senza dittatura… Ogni grande rivoluzione e specialmente la rivoluzione socialista non è possibile senza una guerra civile »”. « Niente pace civile (scriveva già il Liebknecht alla conferenza di Zimmerwald) ma guerra civile, ecco la nostra parola d’ordine ». Il governo bolscevico non indietreggerà dinanzi a qualunque ostacolo gli attraversi la via e nulla risparmierà per il trionfo del suo ideale. « Al comunismo per mezzo della dittatura del proletariato, ecco il grido del partito. Dittatura significa un potere di ferro, un potere che non avrà compassione dei suoi nemici. La dittatura delle classi operaie è un potere di Stato che strozzerà la borghesia e i proprietari ». La bandiera della propaganda comunista porta scritta la formula: «Tutto il potere ai Soviet, la dittatura temporanea al proletariato la socializzazione totale delle attività umane e l’unione universale del proletariato di tutti i paesi ». Perché si osservi bene: il programma del partito comunista « non è solo la liberazione del proletariato di una nazione, ma di tutte le nazioni, giacché è il programma della rivoluzione internazionale. Il rovesciamento dei governi imperialisti a mano armata deve aprire la via alla dittatura internazionale della classe operaia ». E nella stessa Costituzione della repubblica russa all’art. 3 si dichiara che uno dei suoi intenti principali è « la vittoria del socialismo in tutti i paesi ».
Per questo noi dicevamo al principio di queste pagine che la Russia è oggi il campo sul quale si decide la sorte del mondo di domani. Abbiamo veduto come di questo campo essi tengano in mano loro il pieno possesso, come si sforzino d’impiantare il più odioso despotismo su quello sciagurato paese e si preparino per movere di là alla conquista dell’universo.
FINE
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